IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI

di Samuel Benchetrit, Francia, Gran Bretagna 2015, durata 100 minuti –

Incastri per caso

A CHI? A donne e uomini che sentono forte il peso della solitudine

PERCHE’? Per ricordare che anche nel più desolato dei posti, il cambio di prospettiva porta un vento di speranza a chi soffre di relazioni spente o interrotte

IL FILM: Più l’inquadratura si allarga sullo stabile malconcio di colore grigio opaco, più la cinepresa si avvicina a quelle mura sgretolate, ai vetri crepati, alle maniglie di ruggine e più il senso di desolazione inonda gli occhi. La voglia di allontanarsi dal posto è tanta. Simile a uno degli edifici polacchi degli anni Ottanta che il buon Kieslowski amava riprendere, la struttura domina incontrastata il paesaggio immobile, devitalizzato e sgombro di ogni bellezza: si fa fatica a credere che ci si trovi nella periferia di Parigi, e invece è così. Ma il posto potrebbe trovarsi altrove. Conta il potere monocromatico del grigio biancastro che filtra e vela tutto l’intorno, come un batuffolo di cotone dimenticato in cantina per anni. Lo stabile separa, tiene a distanza chi ci abita, nessuno mai si incontra per caso, né fuori, né dentro; lo spazio è poco ed è anche sgradevole. Eppure gli incontri possono capitare lo stesso. Un signore solitario e depresso inciampa nei pedali della sua cyclette e si rovina le gambe, quel danno lo porta all’incontro con una infermiera costipata nel suo maglione di lana. Un astronauta americano sbarca, per errore, sul tetto dello stabile e viene accolto, accudito e coccolato dall’anziana signora marocchina che ha il figlio in carcere. Il carinissimo adolescente dal ciuffo sugli occhi, con una madre che in casa non si vede mai, si ritrova sul pianerottolo come nuova inquilina una signora che anni prima brillava come attrice. E così il deserto esistenziale dei personaggi trova rifugio in incontri casuali e sinceri: il signore solitario impara a fotografare il cielo con vecchie Polaroid per regalarlo all’infermiera; l’astronauta trova il calore di una casa e restituisce in qualche modo il figlio alla signora sua ospite; l’attrice riscopre la bellezza semplice della giovinezza attraverso gli occhi dell’adolescente che, rivedendo con lei i suoi vecchi film, copre le assenze di una madre distratta. Surreale e poetico, il film lascia tracce delicate di incontri che colmano vuoti, incastrano solitudini, ridisegnano traiettorie di senso per vite vuote e un po’ perdute. Il tutto senza dosi eccessive di sale e neppure di zucchero. Uno sguardo che ritrae il potere delle relazioni, la forza degli incontri che sono in grado di colorare spazi urbani sempre più anonimi e incapaci di essere abitati, vissuti, amati. Una prospettiva sociologica sugli errori della realtà globalizzata, sui soggetti che sono diventati residui sociali che la cultura e l’esperienza mette da parte. Eppure la fiamma dell’incontro spicca il volo a fa respirare aria ai polmoni della speranza.

Da vedere per leggere il profilo delicato eppure estenuante della disperazione che sta composta e nascosta nelle case, belle e meno belle, delle società postindustriali. Per imparare che la via di uscita sta nella prospettiva, spesso fantastica e surreale, con cui affacciarsi sulla realtà. Ma soprattutto, per affidarsi al potere delle relazioni che il caso propone.

Cristiana La Capria

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Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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