JULIETA

-di Pedro Almodòvar, Spagna 2016, durata 1h e 39 minuti –

Senza fine …

A CHI? Alle madri, alle figlie, agli uomini sensibili

PERCHE’? Per ballare la danza irrequieta del rapporto tra madre e figlia, senza mai dimenticare che tutto il femminile comincia da là.

IL FILM: Lei è Julieta, ha messo la cipria sui segni di stanchezza, gli occhi sono assorti in pensieri lontani, il corpo armonioso si confonde nelle strade della metropoli. Poi, un giorno all’improvviso, l’incontro con una giovane donna, l’amica della figlia Antia che è ormai svanita da tempo, provoca in Julieta un forte reflusso, e sale a galla quel passato che non è stato digerito. La donna avvia la scrittura di un diario, unico strumento di alleggerimento dell’anima che fa tornare indietro nel tempo per capire cosa sente e cosa prova, lei, una madre che è stata lasciata dalla figlia. Lungo il tragitto a ritroso rimbalza insistente l’amore immediato, carnale con l’uomo che è il padre di sua figlia, la gelosia per le donne che gli stanno affianco: l’amica del cuore di lui, la tata di famiglia e la stessa figlia. Tutte queste donne amano con drammatico senso di possesso l’uomo intorno a cui fanno girare i propri sentimenti. Poi un naufragio scatena la morte di lui e le donne, perduto l’oggetto del desiderio, si fanno la guerra. Un combattimento sottile, invisibile, sotto traccia, che imperversa lungo le pieghe dei silenzi, delle insinuanti parole, delle fughe. La mamma si perde nel fondo del dolore muto e solitario mentre la figlia si ritrova nel calore ardente di una nuova amica. La morte del terzo, in famiglia, provoca un’inversione di ruolo che vede la figlia, appena adolescente, curare la madre, spenta dalla depressione per la perdita del compagno: i tocchi delle immagini che si strofinano lungo il corpo della mamma mentre lei viene lavata, asciugata, sorretta dalla figlia che con mosse lucide la fa lentamente ritornare alle cose della vita, quei tocchi, dicevo, parlano più di tanti dialoghi. Eppure il cruciverba della relazione tra Julieta e Altia non trova le parole giuste, non si completa; la figlia va via, non regge il contatto con la madre, scappa, nega per anni qualsiasi possibilità di incontro alla madre che si ritrova a colmare vuoti, a rimediare all’assenza, a sedare gli effetti dell’astinenza. Julieta prima e Julieta dopo la morte del proprio uomo è interpretata da due donne diverse a rimarcare che non è solo il tempo a fare cambiare, ma sono gli squilibri della vita a provocare l’alterazione dei tratti del viso, della forma del corpo, della luce negli occhi; qui, in particolare, la fine porta una rinascita, dal dolore sbocciano nuovi petali, un nuovo volto, un nuovo corpo. I capitoli della vita – il film ricorda- li viviamo noi e ancora noi, ma le maschere sul volto cambiano con il cambiare degli eventi incontrati. Impossibile non rimanere agganciate al film, intriso come è di archetipi esistenziali messi in scena senza pudore: l’amore, la morte, la gelosia, il tradimento. Il finire del film riavvolge le emozioni e fa riflettere sulle corde del pregiudizio in cui facilmente si inciampa: l’amore tra donne ha mille facce; peccato per chi non le riconosce! Da vedere per ammirare la potenza dell’amore femminile che spesso ruota a vuoto su sé stesso o intorno a uomini incapaci di amare. Da vedere per assistere a una storia di formazione amorosa che parte dalla madre e arriva alla figlia e poi riparte ancora verso la madre … senza fine!

Cristiana La Capria

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Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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