LE STREGHE DI LENZAVACCHE

di Simona Loiacono ed. e/0 2016 ( tra i dodici finalisti al premio Strega giovani)

a chi? a studenti e studentesse e a docenti illuminati

Perchè la forza della diversità è l’unica che andrebbe insegnata

La storia è avvolgente come il tempo dei sentimenti in cui è vissuta, ma dolorosa per le affilate incursioni  della Storia e per gli strali di ignoranza delle sue epoche buie come il Seicento e il Ventennio mussoliniano. Divertente il pastiche linguistico con l’ uso di un latino macheronico appropriato ad una lettera testamentaria. Ci sono le streghe, ma non si vedono, si nascondono rumorosamente nelle vicende e scontano il silenzio che il mondo ha inflitto loro. La narrazione ha due voci, quella di Deodata, figlia di una strega e mamma di Felice, creatura diversa ‘ storto e di malagrazia’, frutto di un amore appassionato e lacerante,  e  quella di Alfredo, maestro e nipote di una strega, morta da secoli, con cui sarà sempre in contatto epistolare . L’anello che congiungerà le due storie sarà proprio Felice, disabile fisicamente e abile affettivamente, i suoi occhi comunicano più di ogni altra parte del corpo, che avrà l’opportunità di frequentare la scuola grazie ai marchingegni per deambulare costruiti dalla nonna,  e al rivoluzionario maestro Alfredo, l’unico ad accoglierlo nella sua classe di cui dirà “I miei allievi non conoscono le battaglie vinte, ma quelle perse, e non ricordano i nomi dei sette re ma quelli degli schiavi, e non ho voluto che recitassero a memoria le filastrocche del regime, ma alcune ballate che i pescatori borbottano calando le reti, sfidando il malaugurio, uscendo all’alba e aspettando dietro le grotte che il pesce azzurro si svegli. Il direttore mi ha rimproverato di averne fatto dei codardi, di non averne esaltato la forza, il coraggio, le virtù militari.  È vero. Come dargli torto. Non ho mai pensato che la cultura servisse alla forza, ma alla compassione, e non ho cercato nei libri il coraggio, ma la fragilità umana. Quanto alle virtù militari, ho detto loro che l’unica guerra che valga la pena vincere è quella contro se stessi. A modo mio, ho Insegnato loro quello che credevo dovesse dare la scuola, e cioè un’anima e una vocazione, e gli ho messo in mano parole e libri, le sole armi che abbia mai imbracciato. ”

In realtà si deve anche  ringraziare una legge, sepolta nei codici, ma ancora in vigore a quei tempi che consentiva ai disabili di frequentare classi, sebbene differenziate, della scuola pubblica; le leggi sono sempre avanti rispetto alla società, anche adesso…

È una bella favola, alla fine, in cui la diversità vince sempre, quella delle streghe sul falso conformismo, quella di Felice sulla normalità dei suoi compagni e quella del maestro sulla disciplina militare e bruta del regime.

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Stefania Zambardino

Docente di materie letterarie in un liceo romano, bibliotecaria, curatrice di una rubrica on line “Leggerete” di studi di genere, appassionata femminista umanista informatica, immersa nel mondo dei libri e degli ebook.

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