Racconti di Scuola

LA SCUOLA IMPERFETTA

Paolo Sestito, La scuola imperfetta, ed. Il Mulino 2014

La perfezione non è di questa….scuola

A chi? Lettura consigliata ai e alle docenti

Perchè? Anche noi dobbiamo saperci valutare

Questo saggio, nato da un’attenta ricerca e da un’autorevole esperienza,  riesce nel suo intento, quello di accendere il dibattito e di far riflettere su temi che , a caldo, noi docenti, spesso, non riusciamo ad affrontare. Prendo come primo esempio il termine valutazione e già so che è esplosivo, non per il significato in sé, ma per tutto quello che evoca.

“La percezione di un collegamento tra clima punitivo nei confronti dei docenti e rilevazione sugli apprendimenti, pur mai esistito nei fatti e nelle norme e anzi esplicitamente contestato dall’Invalsi, ha contribuito a rinfocolare una vasta opposizione nel mondo della scuola a qualsivoglia esperienza valutativa”.

Apprezzabile come l’autore metta le mani avanti, ben sapendo cosa possa scatenare scrivere di valutazione, ma Paolo Sestito è stato Presidente dell’Invalsi e ha tutte le carte in regola per contribuire ad innescare un tale dibattito. “ In assenza di governance del sistema scolastico ben definito, l’uso delle rilevazioni Invalsi è rimasto qualcosa di indefinito, percepito però come vagamente e potenzialmente minaccioso”. La valutazione  sostiene, invece, abbia, una funzione  di innescare processi di miglioramento all’interno del sistema scolastico, come quello degli esiti formativi e non quello di identificare chi  premiare o punire. Le rilevazioni, continua, non sono un target o un misuratore, ma un elemento di standardizzazione a partire dal quale le scuole possano riflettere sull’adeguatezza dei processi posti in essere, rispetto al contesto in cui si opera.

E’ innegabile che l’Italia soffra un ritardo evidente nelle competenze e nel capitale umano, a proposito di questo ultimo termine, se ne spiega l’uso non a caso e le ragioni della sua osticità, e che il sistema scolastico non possa essere esente da critiche e non responsabile per molte sue criticità di funzionamento. Non possiamo, infatti trascurare, la rilevazione PISA, indagine OCSE che a  cadenza triennale ci ricorda come le competenze dei nostri studenti e delle nostre studentesse quindicenni nella comprensione della lettura, nella matematica e nelle scienze siano tra le peggiori in Europa; né le rilevazioni Invalsi, curate annualmente, che ci disegnano ancora oggi un’ Italia nettamente divisa in due. Altro tema legato a doppio filo alla qualità della nostra scuola è una auspicabile riforma della carriera dei docenti con annessa valutazione degli stessi: a questo punto il dado è tratto e la battaglia ha inizio con argomentazioni che mostrano grande forza e validità.  Contro un sistema che incentivi la competizione tra docenti al fine di accaparrarsi premi retributivi o ottenere retribuzioni differenziate, si propone di riformare la carriera dei docenti con una maggiore selettività all’ingresso, con la conferma dell’incarico dopo un impegnativo periodo di prova e con un giudizio di merito per misurare con sufficiente precisione quegli aspetti, spesso caratteriali prima ancora che di conoscenza della disciplina e delle  prassi didattiche più efficaci, che fanno di una persona una buona o un buon insegnante.

“Rifuggire da meccanismi premiali in capo ai singoli docenti, tanto più da forme di premialità basate sulla rilevazione degli apprendimenti dei loro alunni, non significa quindi rimandare, tatticamente, le questioni scottanti. Significa, invece, riconoscere i rischi di una competizione tra docenti e aver un’altra idea ( più legata al disegno della carriera dei docenti stessi) della valutazione di questi ultimi”.

In Italia la maggior parte dei docenti è entrata nella scuola con concorsi tradizionali e con abilitazioni generosamente garantite in corsi ad hoc o per aver svolto supplenze brevi. Vi rimando alla ricchezza di dati forniti che sostengono le tesi dell’autore. Solo come esempi: un docente su sette nel 2013 è un precario che opera con un incarico a tempo  e l’età media per l’ottenimento di una cattedra supera ormai i quarant’anni con dieci-quindici anni di attesa. La migliore qualità dei docenti non si associa né al possesso di particolari credenziali formative (es. corsi post laurea), né all’anzianità, ma solo ad un certo ammontare minimo di esperienza, oltre il quale non sembra esservi nessun ulteriore accumulo di efficacia. Motivazione e incentivo sono sicuramente connessi alla qualità dell’insegnamento, ma “ in assenza di una rimarchevole carriera retributiva, e di meccanismi meritocratici al suo interno, l’unico vero vantaggio che i docenti col tempo acquisiscono è nella possibilità (…) di spostarsi mano a mano nella sede di lavoro loro più congeniale”. Aggiungo che purtroppo è proprio così.

L’incremento retributivo renderebbe più attraente la professione, accrescendone il prestigio sociale e riducendone la natura di professione, alle volte scelta solo come ripiego o per la possibilità di abbinarla al proseguimento di altri impegni o interessi.  Interessante la proposta di introdurre degli elementi di specializzazione e differenziazione nel lavoro e nelle funzioni dei docenti ( creazione di un middle management focalizzato su aspetti tanto gestionali quanto di valutazione dei processi).

Altro problema molto discusso ultimamente, ma non affrontato è quello degli studenti con difficoltà come i non nativi e che si fa finta che non esista o, spesso,  si lascia che se ne facciano carico solo i singoli docenti. Consequenziale e ben analizzato il tema del sostegno. Potrei continuare con l’esame di maturità sempre meno credibile e non adoperato dalle università come strumento di selezione dei loro futuri studenti, ma arrivo all’ultimo capitolo Dalla scuola al lavoro  dove l’orizzonte si allarga, la visione è ancora più lungimirante e l’invito è quello di pensare che “ la scuola deve formare dei buoni cittadini, ma anche dei buoni lavoratori”.

Per acquistarlo clicca sotto

Exit mobile version