BEN IS BACK

-di Peter Hedges, USA 2018, durata 1h e 44m –

 

Dove sta la salvezza?

 

A CHI? A chi è genitore e alle nuove generazioni dai 15 anni in su.

 

PERCHE’? Per onorare la forza dell’amore. Per riconoscere – e soprattutto accettare – il limite che la dipendenza dalla droga impone a ogni legame significativo.

 

IL FILM:

La storia è avvolgente, intensa, affannosa. Corre lungo il filo dell’urgenza: quella di salvare Ben, un giovane posseduto dall’eroina. Le prime inquadrature sono per una figura maschile con un cappuccio da cui spunta una sigaretta elettronica, aspirata voracemente. La figura si muove nervosamente intorno al giardino di una casa in cui non c’è nessuno. Finalmente arriva un’auto, dentro ci sono due bambini, una ragazza e, al volante, una donna che, quando incrocia lo sguardo del giovane che adesso si è tirato giù il cappuccio, prova un sussulto; si precipita fuori dalla macchina e si getta verso il ragazzo, lo stringe mentre la pelle del viso le si arrossa, gli occhi lucidi e contratti lasciano sgorgare l’amore e il terrore per quel figlio dall’espressione bianca come la neve che sta calpestando. Questo abbraccio tra madre e figlio, straripante di ingorghi, dice tutto, e vale il film. Il ritorno a casa di Ben non è previsto, lui dovrebbe rimanere in comunità perché il percorso terapeutico funzioni. Invece lui torna in famiglia. Èil giorno di Natale. Tenere per un giorno Ben a casa è un rischio. Immenso. La famiglia ci prova. Le ore diventano lunghe e a ogni mossa del ragazzo si suda: stargli addosso, evitare che si chiuda nel bagno, nel ripostiglio, in camera, poi far sparire ogni farmaco, ogni malevola tentazione. Ma il passato non passa per Ben, ogni luogo, ogni incontro, ogni gesto rimanda a lei, all’eroina, quel “posto caldo e rassicurante” che neppure la mamma è stata in grado di offrirgli.

La protagonista di questo film è la trama intorno a cui la droga disegna l’amore dannato tra la mamma e il figlio, una polverina tossica eppure stupefacente si fa spazio fino a insinuarsi fin dentro le pieghe più profonde di un legame viscerale. Lo mette a rischio gravemente. Cosa può fare la madre per aiutare il figlio? Quanto è responsabile della sua caduta? Forse lo è il padre che è andato via? Forse la violenza di quella separazione? Forse. Dove sta la risposta? Non c’è. Nessuna indagine alla radice della sofferenza viene fatta. In questo film l’accento è sul limite tra il potere e il sapere, tra la verità e la menzogna.

 Nel giro di una notte la mamma fa un viaggio lunghissimo insieme al figlio, lo accompagna nei luoghi che lui ha segretamente usato per strappare al mondo un po’ di calore sintetico. A ogni fermata la madre conosce un pezzo di vita del figlio, del suo dolore nascosto, del suo comportamento deviato. Il disagio, la dipendenza, la paura, la bruttura del passato di Ben lo veniamo a conoscere con delicatezza. Ma fa male lo stesso. Il viaggio di madre e figlio, che facciamo anche noi dall’altra parte dello schermo, non finirà neppure alla fine del film. Continua mentre passeggiamo in strada, sulla via del ritorno. Ci portiamo dentro la beatitudine e la dannazione. Che il film, interpretato con maestria, ci fa provare attraverso immagini che arrivano dove molti non osano andare. L’esperienza paradossale dell’impotenza amorosa, della forza incapace, del possibile che non può. Un film da provare, specie di questi tempi in cui la ricerca della felicità artificiale spezza le gambe al desiderio e lo fa rotolare fuori dal campo visivo della gioventù.

Cristiana La Capria

Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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