BOYHOOD

– di Richard Linklater, USA 2014, durata 164 minuti –

L’ho visto. E non ci speravo neanche. Invece il cartellone con la faccetta del protagonista stava esposto al cinema IFC in Avenue of the Americas, New York. E io, per caso, stavo proprio in quel punto della città quindi, inevitabilmente, mi sono piazzata in sala per godermi tre ore di film. Il lavoro è uscito negli USA da un paio di settimane, non so se sarà tradotto in italiano o comunque distribuito in Italia. Me lo auguro vivamente. Se così fosse…

A CHI? A docenti che hanno a che fare con l’adolescenza e fanno fatica a capirla, a studenti e studentesse dai 14 anni in su.

PERCHE’? Per osservare al microscopio l’incredibile metamorfosi fisica, psichica e culturale di un maschio americano medio e della sua famiglia durante un tempo lungo dieci anni. L’abilità statunitense di costruire le fila dell’esistenza e delle relazioni sull’onda della più spinta precarietà ha molto da insegnare a noi in Italia.

IL FILM: La storia di Mason e della sua crescita dai 5 ai 18 anni viene messa in scena dallo stesso attore protagonista, senza trucchi, senza maschere; ne vengono tracciati i reali cambiamenti dovuti agli effetti del tempo e delle esperienze che confondono i limiti tra la persona e il personaggio.  Accanto a lui anche il personaggio della sorella, della madre, del padre sono tutti recitati dagli stessi interpreti, molto bravi, che evidentemente hanno sottoscritto con il regista un impegno a lungo termine (dieci anni appunto), cosa rara. Ma questo non è un documentario, è una storia che fa fare al tempo il vero protagonista della vicenda e che è di enorme interesse sociale e antropologico.

Siamo in una famiglia classicamente composta da un figlio, una figlia, una madre e un padre – divorziati. Le stonature e i successi dovuti a svariati eventi contribuiscono a definire l’interessante esperienza formativa del protagonista di cui osserviamo la “boyhood” – che significa periodo della fanciullezza di un ragazzo. E questo è il primo dato di rilievo: esiste nella lingua inglese un’attenzione al lungo periodo della giovinezza scandita secondo il genere maschile la quale, come dovremmo sapere, ha un iter diversissimo da quello femminile che, infatti, ha per sé la parola “girlhood”; in italiano, invece, non c’è neanche l’ombra di questa distinzione terminologica. Così, dicevo, assistiamo alle paure e alle introversioni di un bambino che poi diventa un brufoloso ragazzo sensibile che si scopre fotografo e per questa passione riuscirà ad andare via da casa, a soli diciotto anni. Nella precarietà delle relazioni genitoriali Mason trova comunque sempre l’appoggio di entrambi i genitori, nella precarietà lavorativa la madre perde il lavoro ma riesce a laurearsi e a diventare docente universitaria; nella precarietà economica i genitori insegnano presto al figlio a sbrigare le faccende di casa in modo che lavare i piatti e pulire i gabinetti sarà più facile quando vorrà guadagnare dei soldini mentre studia per la maturità. E quando si innamora non lo fa della solita biondina in minigonna, ma di una studiosa e non tanto bella ragazza più grande che lo mollerà per un altro. Insomma un film che apre lo sguardo, che insegna la capacità di tenere forti i legami nella marea di instabilità permanenti, che ci ricorda che l’autonomia esistenziale oltre che economica, per quanto precaria possa essere, è la sola cosa giusta. Molto bene. Enjoy it!

Cristiana La Capria

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Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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