CAROL

– di Todd Haynes, USA 2015, durata 1h 58 –

 

L’inevitabile presa dello sguardo

A CHI? Soprattutto alle donne

PERCHE’? Per partecipare alla nascita di una lievissima e densissima forma del desiderio

IL FILM Siediti, siediti pure. Accomodati al loro tavolo e partecipa, senza muoverti, a quel calore che spira dai loro sguardi; sono di due donne sedute al tavolino di un locale pubblico, due donne che si appartengono. Benvenute dentro un film che bisogna attentamente guardare perché la luce degli occhi delle protagoniste si riflette nei vostri che rimandate luce ad altri occhi che a loro volta ne rimandano, e così all’infinito: la vedete? E’ la forma del desiderio. Due donne, Carol e Therese, sono così diverse e distanti per l’età, per lo status sociale, per i segni del tempo, per i sogni lasciati, eppure restano impigliate in uno sguardo, uno solo, fatale. E non importa che Carol ha una figlia di quattro anni, un marito da cui sta divorziando, che Therese ha parecchi anni in meno, un futuro da costruire, un fidanzato da sposare. Non importa quale fosse la loro vita un secondo prima dell’incontro, perché tutta una vita cambierà proprio subito dopo quel secondo lì. Ma cambiare è un gesto di amore e anche di coraggio, specie quando ci sono i freni delle resistenze aggrappate alle spalle del senso comune e del pregiudizio: la città di New York negli anni Cinquanta non accetta l’omosessualità. Carol si mette con una donna, ma come ha potuto? allora è una mamma depravata, disturbata, psichicamente instabile; non può allevare una figlia all’ombra della perversione. Ma perchè è così difficile capire quello che succede così facilmente? Si chiama attrazione, richiamo, intensità che scuote la pelle e spinge i battiti, fa lacrimare, travolge, avvolge, annebbia, sussulta ogni pensiero. Vedere Carol è un festival della percezione: la compattezza della pelle delle mani, la sgargiante eleganza cromatica degli abiti, i bracciali imperiosi avvolti ai suoi polsi, gli orecchini che pendono sinuosi intorno al collo, la levità dei tessuti, tutto spazza via ogni difesa degli occhi, bisogna tenerli aperti; lei è inevitabile, è preziosa, intensa e con il suo corpo solido, le sue labbra dense, l’espressione malinconica e luccicante. Nel più pieno dei negozi, quello dei giocattoli durante le feste natalizie, Therese sta seduta alla cassa a fare il suo dovere di commessa; basta un passaggio, una feritoia tra la folla e gli occhi della giovane si incastrano nell’immagine di Carol, poi non ne possono più fare a meno. Da quel momento ogni parola tra loro è solo un addobbo, un tentativo ingenuo di controllare l’incontrollabile, di giustificare l’ingiustificabile. L’innamoramento viene assecondato, il sentire delle due coincide e a parlare sono, ancora una volta, gli occhi. Senza strapazzi emozionali, senza esibizionismi estetici siamo trattenute fino alla fine dentro le maglie di una storia che ci incastona nelle sue immagini, perfettamente calibrate nei toni, nelle inquadrature discrete dei volti, dei primissimi piani degli occhi, di quello che viene fuori dagli occhi che si accerchiano e che ci invitano a entrare nel film. Qui con molta sincerità si racconta una storia semplice di una amore semplice che il perbenismo ottuso rende complicato. Ma la forza femminile non si arresta. Non vorremmo mai vedere arrivare l’ultima dissolvenza, perché dentro quei fotogrammi rimane un pezzo dei nostri sentimenti, del nostro affetto per loro, per noi che sappiamo quanto l’amore sia semplice e improvviso. Da vedere per avere la certezza di oltrepassare lo schermo con lo sguardo e sentire con gli occhi la bellezza del desiderio.

Cristiana La Capria

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Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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