Come state?

– da Cristiana La Capria –

Quale è la prima cosa che fate quando entrate in aula? Immagino che salutiate dicendo buongiorno. Ma quanti di voi chiedono a quelli che stanno dall’altra parte della scrivania: come state?

Chi fa questa domanda dietro la spinta di una vera curiosità a sapere coma va l’umore delle alunne e alunni? E anche se molti di voi entrano in aula e domandano come state, che risposte ricevono? Di solito arriva un corale bene; qualche volta un male. Quando salta fuori chi vi dice che sta male, come reagite? Approfondite la questione o affermate di dovere iniziare la lezione perché comincia a farsi tardi e il tempo per lavorare è poco? Come si fa in questi casi? Nei casi in cui ogni giorno incontri soggetti per i quali lavori e lo fai per parecchie ore quotidianamente, come fai a non volere sapere come stanno? Eppure quando si apre questo canale è molto difficile chiuderlo perché loro vogliono parlare, vogliono raccontare, vogliono comunicare. Quindi che si fa? Si apre il canale chiedendo come state e se poi ti dicono che stanno male tu dici che sei un’insegnante e devi andare avanti con la lezione, oppure apri un campo di interazione attento e concentrato sulle tue alunne ed alunni e passi l’ora di lezione facendo un altro tipo di lezione…?

Non è facile uscire dalla trappola. Quando mi preparai per affrontare il concorso per insegnare nella scuola, non lessi da nessuna parte accenni a come avviare una lezione tenendo presente il benessere di coloro per cui lavori. Come si fa? Fin dove ci si può spingere? Ogni insegnante si improvvisa figura cangiante, con competenze antropologiche e sociologiche, psicologiche e comunicative: questo scrivono sui testi specialistici. E poi? Poi il resto te lo giochi sul campo, con l’esperienza, con gli errori. Certo, è vero. Ma io, malgrado gli svariati anni di insegnamento, continuo a chiedere ai miei alunni e alunne come stiano. Sento forte la voglia di sapere come sta chi ho di fronte, specie se ci devo lavorare insieme e sento altrettanto forte il bisogno di soffermarmi su chi risponde che bene non sta. Il punto è che chi ti risponde male poi parte con la condivisione di storie che prendono tempo e portano lontano. Che faccio, allora? O tengo le distanze evitando risposte difficili, o mi avvicino lasciando andare alla narrazione chi chiede di farlo. Oppure cerco una mediazione tra i due atteggiamenti, cosa che tendo a fare solitamente ma spesso senza grandi risultati perché alla fine, quando leggo il programma composto a inizio anno, mi rendo conto di non averlo del tutto rispettato, specie perché non ho inserito né previsto il tempo dedicato a chiedere come state?

Ripeto, nel corso dell’esperienza formativa mia e anche degli attuali insegnanti, malgrado l’eccesso di indicazioni psicopedagogiche per gestire la classe, si parla di benessere in senso generico. Ma che vuol dire? Come registro la temperatura emotiva di una classe? Dall’osservazione? Certo. Ma poi c’è anche l’effettivo, concreto gesto del chiedere come state?  Attenzione la questione è leggera ma non superficiale, può svoltare il corso della lezione, di molte lezioni.

E voi,  cari e care insegnanti: come state?

 

Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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