FIGLIO DI NESSUNO

di Vuk Rsumovic, Serbia 2014, durata 97 minuti

Meglio l’animale …

A CHI: a chi insegna, a chi studia (dai 14 anni in poi), a chi ama la pedagogia

PERCHE’: per assaggiare una storia, incredibilmente vera, che ha per protagonista un bambino allevato da un lupo e poi trasportato nel mondo degli umani. E per chiedersi: meglio gli uomini o i lupi?

IL FILM: Brutalmente scaraventati nel ventre di un bosco fitto di rami del colore della terra, i nostri occhi vorrebbero chiudersi ma non ci riescono: un sordo colpo di fucile trapassa un lupo, di fianco al suo corpo è steso quello impolverato e spettinato di un ragazzino. Siamo nella Bosnia della guerra, dove l’umore degli abitanti è della stessa tinta plumbea del cielo, dove l’animo è incattivito, le tasche sono vuote, gli sguardi spenti. Il figlio del lupo viene portato in un orfanotrofio, il suo comportamento è fonte di angoscia, digrigna i denti, raspa il pavimento con le dita, ringhia, accovacciato mangia il cibo con la bocca, non cerca relazioni, evita i suoi simili. Ma chi sono, poi,i suoi simili? Quelli di cui ha il corpo o quelli di cui ha assimilato il comportamento? Le inquadrature restituiscono un panorama di esperienze non raccontabili in cui a farla da padrone è il pensiero visivo, suscitato da immagini recitate benissimo da un interprete della specie umana che di umano ha ben poco, ma l’addomesticamento avviene e ne osserviamo i dettagli come con il vetrino al telescopio; il lento cambio di postura, i suoni trasformati in linguaggio, le smorfie ricomposte in espressioni controllate del viso rendono Haris, questo il suo nome, un bambino di nove anni quasi accettabile. L’incontro con un compagno di sfortune lo porta alla superficie del baratro di confusione in cui era sprofondato, il suo nuovo amico gli regala i suoi giochi, gli pettina i capelli, dà un senso ai suoi giorni. Ma le storie di regolare disperazione sono fatte da gente che si fa male, che fa male a chi è intorno, perché non può essere diversamente. Con delicatissima venatura viene pennellato il ritratto di un altro buon selvaggio ma, questa volta, nessun buon voto viene assegnato alla capacità educativa di dar forma, anzi. Qui impariamo a osservare trasformazioni eccezionali di un bambino animalizzato che un po’ per forza e un po’ anche per amore viene portato ad assumere i connotati di un umano senza pietà. Il ritorno al bosco di origine sarà una boccata di ossigeno per lui e per noi, ma il ritorno, ovviamente, porta con sé i segni dell’irriconoscibile: niente di ciò che era uguale è ancora uguale … Da vedere per accomodarsi a pochi centimetri da un bambino dal potere mimetico prorompente, senza sorriso, di una intensità corporea stupefacente e con occhi trascinanti che fanno vedere l’anima, quella dell’animale più che dell’umano. Complimenti!

 

Cristiana La Capria

Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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