DILILI A PARIGI

– di Michel Ocelot, Francia 2018, durata 1h 35m –

 

L’eleganza di un’animazione ribelle

 

A chi?

A tutti e tutte. Soprattutto a chi vuole veicolare l’attenzione delle nuove generazioni – tramite una fiaba molto originale – sulla potenza del sapere e l’urgenza della parità di genere.

 

Perché?

Per godere la bellezza di un’epoca, di una città, di una corrente artistica e letteraria e soprattutto per dare la parola a un film a colori speciale, che parla di giustizia e di liberazione.

 

La storia

Siamo a Parigi, alla fine dell’Ottocento, si respira l’aria magnifica della Belle Époque. Una bambina canaca, Dilili, si intrufola su di una nave che attraversa il Pacifico e arriva fino a Parigi dove un’insegnante generosa la ospita nella sua maestosa residenza. La bambina vuole esplorare la città e il suo nuovo amico Orel, un giovane facchino, in sella a un veicolo a tre ruote, le presenta i luoghi, le strade e le persone che hanno segnato la storia. Ma il tour non è solo ispirato al piacere, bisogna anche vedersela con il dolore: assistere al sequestro e allo sfruttamento di donne e bambine per mano di una banda di maschilisti balordi, i Maschi Maestri.

 

I temi

Sono incastonati nel film almeno un paio di nuclei tematici di impegno civile attualissimi: il potenziale vivificante degli intrecci culturali e quello mortifero della discriminazione di genere.

La protagonista è na bambina dalla pelle ambrata, con un piglio ribelle e un’anima curiosa che ci presta i suoi occhi e la sua indole per fare un’immersione profonda tra i bagliori e i tremori della capitale francese. Avvertiamo il tocco dell’arte attraverso le pennellate di Renoir e di Monet e tastiamo il ruvido dello sfruttamento femminile tramite la storia delle bambine obbligate a stare quattro zampe, ridotte a sgabello schiacciato dal pesante fondoschiena dei maschi.

La Parigi di Dilili è un panorama dedicato all’amore per la cultura che offre il braccio alla ribellione contro la prepotenza sul genere femminile.

 

Lo stile

Questa fiaba dà vita alla narrazione usando un disegno animato delicato, riempito da un coro di colori sgargianti e densi, che sembrano cantare su di uno sfondo fatto di scatti fotografici che rimandano alla città nella sua nudità, troppo unica per essere riprodotta con la sola matita. Una magia incantevole che fa luce su segmenti di realtà opachi e lucidi e alla fine viene voglia di cantare.

Cristiana La Capria

 

Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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